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[Editoriale] Techdevice contro il click-baiting: cos’è e come aggirarlo

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Techdevice contro il click-baiting: STOP alla disinformazione!

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Click-baiting, questo grande sconosciuto. Per la maggior parte dei lettori di questo blog il termine risulterà familiare, ma per la stragrande maggioranza degli “internauti” – sopratutto i frequentatori dei social – questo vocabolo risulterà del tutto incomprensibile. Letteralmente significa “esca di click”, ovvero il fenomeno – enormemente diffuso negli ultimi tempi – che consente di “pescare” utenti dai social e reindirizzarli sulle proprie pagine web. Perché tutto ciò? I banner pubblicitari – come quello che vedete sopra a questo paragrafo – consentono la generazione di (per noi modesti) profitti, in base ai click ricevuti per ogni pagina. Ma provate a pensare ad una Pagina Facebook con un milione di like: significa – potenzialmente – un milione di click. Chiaro ora il concetto? Più click = più guadagni!

Il click-baiting è la visualizzazione di pubblicità. NO! Il click-baiting riguarda la VISUALIZZAZIONE degli articoli: per essere più precisi, riguarda il modo in cui viene preposto il titolo di un articolo, le immagini utilizzate e il riepilogotutti elementi che fanno parte di, tanto per fare un esempio, un post di Facebook. Quante volte nella propria Timeline di Facebook compare un post simile?

 

 

Questo è un post preso direttamente da una delle principali realtà editoriali italiane: basta leggere alcuni dei commenti sul post per capire quanto il “popolo di Internet” sia ormai sull’orlo della “guerra” contro il click-baiting. In passato “titoli” del genere venivano utilizzati per addescare gli utenti su pagine di phishing: ad oggi, vengono utilizzati per addescare utenti sui propri siti web, guadagnando in base al numero di click ricevuti

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Monetizzare in questo modo è – a nostro avviso – una forma del tutto SBAGLIATA, nonché dannosa nei confronti dell’utente. Ancora più sbagliato è che questa modalità di remunerazione degli articoli viene adoperata da realtà editoriali “reali”, come Messaggero o Il Giornale stesso: l’uso del click-baiting da parte di realtà “non-reali” – come Fanpage, che, probabilmente, ha come principale fonte di introito proprio la pubblicità – potrebbe anche essere giustificato, ma NON E’ ASSOLUTAMENTE GIUSTIFICATO per realtà editoriali “reali”

Il click-baiting è legale? Purtroppo si: si tratta di una mera forma di visualizzazione degli articoli sui social network. Una volta aperto l’articolo, il titolo “effettivo” sarà del tutto “normale”, con tutte le informazioni del caso.

Il click-baiting è sempre dannoso per il lettore? Assolutamente no. Il fenomeno del click-baiting è come un medicinale: diventa dannoso quando se ne abusa. Per fare un mero esempio, il titolo di un articolo riguardante l’acquisto di un calciatore da parte di una squadra calcistica, potrebbe essere preposto in questo modo:

La società calcistica AS Pippo ha acquistato il fuoriclasse dell’FC Pluto

Questo è un esempio di un click-baiting “leggero” o “giusto”: viene nascosta al lettore l’informazione sul nome del fuoriclasse, incentivando l’utente a cliccare per maggiori dettagli sull’evento. Diverso se il titolo viene preposto in questo modo:

INCREDIBILE. L’AS PIPPO HA FATTO IL COLPACCIO. SCOPRI DI CHE SI TRATTA!

Questo è un esempio di click-baiting “forzato” o “ingiusto”: viene nascosta al lettore la quasi totalità di quanto accaduto. A tali livelli, si può iniziare a parlare di disinformazione, causata dalla visualizzazione dell’articolo.

Il click-baiting deincentiva anche chi VENDE spazi pubblicitari! Sembra strano, ma il fenomeno del click-baiting danneggia anche i soggetti che vendono spazi pubblicitari (Google Adsense, ndr): questo perché molto spesso gli inserzionisti richiedono ai vendor di spazi pubblicitari la visualizzazione dei loro prodotti ad una fascia di utenti specifica. Il click-baiting “generalizza” le visite, in quanto è un fenomeno che lavora a livello psicologico, inducendo l’utente a cliccare anche se non è interessato all’argomento!

Posso difendermi da questo fenomeno? C’è un modo per non far “guadagnare” questi siti dal mio click? La difesa più efficace è ovviamente l’immediato defollow del sito interessato. Se – tuttavia – si vuole continuare a visitare quel sito, un arma a disposizione dell’utente effettivamente c’è: si chiama AdBlock, letteralmente “blocco di advertisment“. E’ un software che permette di bloccare i banner pubblicitari presenti nelle pagine visitate: i più sofisticati permettono di selezionare a quali siti “permettere di guadagnare” e quali no. Questo è un GRANDISSIMO VANTAGGIO: perché? Permette all’utente di scegliere di far remunerare i siti che offrono una informazione pulita e di non far guadagnare quelli che offrono informazione “sporca”. Bloccando i banner pubblicitari priverete il sito specifico del suo guadagno, quindi fate attenzione ad utilizzare un software che non blocchi tutto il traffico pubblicitario, ma SOLO quello “esagerato” o “click-baited“!

Ma le cose potrebbero presto cambiare! Facebook ha già annunciato che farà “piazza pulita” del fenomeno entro poco tempo – proprio perché danneggia anche Facebook stessa, in quanto vendor di spazi pubblicitari! Google dal canto suo sta testando Contributor, che permetterà – dietro pagamento di un importo fra 1 e 3 dollari mensili – di oscurare tutti i banner di Google Adsense.

[Grazie @PietroTaglia]

Giammarco
Studente universitario, appassionato di tecnologia - Amministratore & Fondatore di Techdevice -

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